L’inclusione nei luoghi di lavoro e la legge 68/99

News · Maggio 12, 2023

Quando si parla di categorie protette il punto di riferimento è la legge 68/99.

Nata nel 1999, è stata aggiornata nel 2018 e poi nel 2020, ma l’evoluzione della società impone una riflessione sulla necessità di un nuovo adeguamento.

Prima però facciamo un punto sulla legge.

La legge 68/99 ha come finalità la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato.

Subito il pensiero corre agli invalidi civili (ovvero coloro che hanno una percentuale di invalidità maggiore o uguale al 46% se invalidi civili e del 35% se invalidi “del lavoro”). In realtà, la legge 68 prevede anche delle tutele per altre categorie di lavoratori svantaggiati.

L’articolo 18 della Legge 68/99, in particolare, prevede che i datori di lavoro che occupano oltre 50 dipendenti abbiano l’obbligo di assumere:

Dopo la modifica del 2018 tra le categorie protette non rientrano più le persone richiedenti asilo.

L’elenco delle categorie protette è stato esteso, nel 2018, ai figli orfani di un genitore a causa di omicidio commesso dal coniuge o dal partner (quindi anche agli orfani di femminicidio) e, nel 2020, a coloro che al compimento della maggiore età vivono fuori della famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria e che quindi si ritrovano in una casa famiglia o struttura protetta.

A livello numerico, l’obbligo scatta a partire dai 50 dipendenti. Da 51 a 150, è previsto l’inserimento di una categoria protetta rientrante nelle previsioni dell’Art. 18, mentre dai 151 dipendenti in su si parla dell’ 1% del totale organico (dato dalla somma di contratti a tempo indeterminato e tempo determinato, anche part-time, assunti alla data “fotografia” del 31/12).

Tale 1% si va ad aggiungere al normale 7% previsto per gli invalidi civili; è importante sottolineare che non è possibile assolvere l’obbligo di assumere una categoria protetta tutelata dall’articolo 18 assumendo invece un invalido civile aggiuntivo.

Dal punto di vista delle aziende l’applicazione dei criteri porta naturalmente a selezioni molto difficili, il classico ago nel pagliaio, proprio per la rarità di questi profili.

Per quanto concerne invece i cittadini andrebbe fatta una riflessione su un eventuale aggiornamento degli aventi diritto al riconoscimento di categoria protetta, inserendo qualche altro gruppo di lavoratori fortemente svantaggiati attualmente non coperti da alcuna tutela.

Qualche esempio? Donne vittime di violenza, sulle quali molte associazioni stanno già operando, ma senza una forma di tutela specifica da parte della legge 68, oppure lavoratori disoccupati da almeno 12 mesi e in fascia d’età svantaggiata (es. over 55/60).

Il tema è sicuramente caldo: da un lato è evidente l’anacronismo tra alcune categorie aventi diritto ma chiaramente obsolete, dall’altro la mutata sensibilità collettiva su temi come la violenza sulle donne o la criticità di inserimento nel mondo del lavoro per la popolazione in età prepensionabile rendono necessaria una revisione.

Come divisione dedicata alle categorie protette, il nostro intento è quello di garantire che chiunque abbia pari opportunità lavorative e, allo stesso tempo, fornire il giusto supporto alle aziende per coinvolgere nel proprio organico le figure meno avvantaggiate.

 

DAVIDE MERATI

National Business Manager Job Diversity

 

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